Leopolda 6, Renzi cambia ruolo. Da attaccante a difensore

Matteo Renzi alla chiusura della Leopolda 6


Matteo Renzi alla chiusura della Leopolda 6

FIRENZE – Era prevedibile. Alla Leopolda 6 Matteo Renzi ha giocato in difesa. Nel suo intervento a chiusura della kermesse, oggi 13 dicembre, ha utilizzato soprattutto slogan ad effetto, quelli che il «suo» pubblico vuole sentire. Quelli ad applauso sicuro per intendersi. «Mettendo in atto i sogni, i risultati arrivano» come pure «da quando siamo partiti qui alla Leopolda abbiamo rovesciato un sistema gerontocratico».

Elezioni? «Se votassimo oggi, sono più che sicuro che il Pd prenderebbe ancora più voti che alle elezioni europee» (quando nel maggio 2014 il neo premier incassò oltre il 40% di voti). La Leopolda 6? «Il prossimo anno ne faremo 1000, dovunque, anche in un condominio se c’è bisogno, per stare ancora più vicini alla gente in vista del referendum sulle riforme costituzionali». «Saranno Leopolde elettorali, come quella del 2017, dato che poi a febbraio si voterà». E subito: «Febbraio 2018 s’intende, non il prossimo – precisa ancora tra gli applausi calcolati – come forse qualcuno vorrebbe».Da attaccante, anzi da rottamatore, a difensore di sé stesso, del suo operato, della sua famiglia. «Mio padre due anni fa è stato indagato dalla magistratura di Genova. Il pubblico ministero per due volte ha chiesto il suo proscioglimento. Attendiamo cosa decideranno i giudici. Verso la Magistratura ho sempre avuto il massimo rispetto e non ho mai espresso alcuna opinione». Intanto però ne parla e, forse non a caso, proprio nello stesso giorno in cui «Il Fatto Quotidiano» (distribuito gratis oggi nei pressi della Leopolda) titola in prima pagina: «Papà Renzi e papà Boschi, tutti Banca Etruria e famiglia».

Cita infine le azioni militari durante la Resistenza, per poter sostenere di «non essere contrario per principio agli interventi militari quando sono necessari». Purchè – si affretta a precisare – «per ogni euro speso per un soldato, ci deve essere almeno un euro speso per l’educazione e la cultura». Ottant’anni fa lo chiamavano «MinCulPop»: era il Ministero voluto da Mussolini nel 1937 col compito di controllo sulla cultura e di organizzazione della propaganda del fascismo. Renzi non può dirlo, ma nessuno può escludere che rientri tra i suoi sogni segreti. Magari proprio di quelli che «mettendoli in atto» fanno arrivare i risultati.

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