Osservatore Libero

Primarie Usa 2016: vince Clinton ma Sanders non si ritira. Ecco perché

Bernie Sanders, Donald Trump, Hillary Clinton

Bernie Sanders, Donald Trump, Hillary Clinton

NEW YORK – Donald Trump stravince (con oltre il 70% di voti) le ultime primarie Usa prima della Convention di Cleveland, in programma dal 18 al 21 luglio, che lo acclamerà candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti nelle elezioni del prossimo 8 novembre. Ieri 7 giugno, ultimo «super tuesday», il magnate americano – unico rimasto in corsa dopo il ritiro degli avversari interni – ha vinto largamente in California, Montana, New Jersey, New Mexico, South Dakota. In totale Trump arriverà alla Convention di luglio con 1441 delegati a suo favore, contro il minimo di 1237 necessari per la «nomination». Piaccia o no è un plebiscito.

Risultati del 7 giugno 2016 (Fonte NYTimes)

Meno solido il successo nel Partito Democratico di Hillary Clinton. Il lentissimo spoglio dei voti in California, da sempre stato simbolo delle elezioni Usa, si è protratto stranamente fino a notte fonda, specie per l’assegnazione dei delegati uscita solo poco dopo le 5 mattina ora di Los Angeles, alle 14 ora italiana di oggi 8 giugno. Hillary Clinton ha vinto con il 56% dei voti sull’avversario Bernie Sanders fermo al 43%. Successo della Clinton in New Jersey (63%) e più contenuto New Mexico (51%) e South Dakota (51%). Vince Sanders in North Dakota (64%) e di misura in Montana (51%).

Nonostante le dichiarazioni di vittoria della Clinton e il «rincalzo» della telefonata di congratulazioni del Presidente Obama a quella che era stata sua avversaria diretta nelle primarie del 2008 e quindi (per un solo mandato) Segretario di Stato del suo governo, Bernie Sanders ha dichiarato di non volersi ritirare perché «solo i delegati alla Convention nomineranno il candidato presidente».

NODO – La questione, ha ragione Sanders, riguarda proprio i delegati. Per ottenere la «nomination» presidenziale alla Convention di Philadelphia (25-28 luglio) occorre il voto minimo di 2383 delegati. Sul campo (nelle singole elezioni primarie in ogni Stato) la Clinton ne ha ottenuti finora 2184 mentre Sanders 1804 . Entrambi insufficienti per la vittoria. Chi deciderà tutto sono i delegati cosiddetti «unpledged» o «superdelegati», non di nomina elettorale ma scelti dal partito tra ex governatori e parlamentari. Il fatto è che sono liberi di votare per il candidato che preferiscono all’ultimo momento, nonostante eventuali precedenti dichiarazioni contrarie. Al momento la Clinton avrebbe 571 superdelegati dalla sua e Sanders appena 48. Ma non è detto che il fronte si possa ribaltare.

I numeri dei delegati per le Convention del luglio 2016 (Fonte NYTimes)

 

Per questo la Clinton, già alla vigilia del voto alle primarie del «super tuesday» del 7 giugno aveva reclamato ormai la nomination visto il vantaggio su Sanders, nel tentativo (molto poco «politically correct») di dividere la base elettorale del suo avversario. Stesso atteggiamento dopo il voto nel New Jersey, ad alcune ore di fuso orario in anticipo rispetto all’esito delle elezioni in California. Puntualmente riportato dalla grande stampa americana e internazionale come il momento della «prima donna della storia in corsa verso la Casa Bianca».

Probabilmente la Clinton vincerà davvero la convention di Philadelphia. Ma il prezzo (tra compromessi e patti, si direbbe, stile «palio di Siena») sarà molto alto: per gli elettori americani e di rimbalzo per i partners Usa nel mondo. Se la Clinton (e le forze che la vogliono portare alla Casa Bianca) non lesina colpi bassi verso Bernie Sanders, il candidato di 74 anni che raccoglie tanto consenso tra i giovani, c’è da attendersi un duello senza esclusione di colpi con il repubblicano Donald Trump. Può succedere di tutto. Dal gossip agli insulti. Una campagna elettorale più gridata che ragionata. Dove ai programmi si privilegiano gli annunci a effetto. L’esatto contrario di quello che hanno bisogno gli Stati Uniti e, di conseguenza, il mondo intero.

 

 

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