MARCINELLE (Belgio) – Sono passati 60 anni esatti dall’8 agosto 1956 quando 136 minatori italiani morirono nella miniera di carbone di Marcinelle in Belgio. Il ricordo della loro tragedia – a differenza di tante altre – sta lentamente scomparendo dalla memoria collettiva. Non solo per l’inesorabile trascorrere del tempo, ma – temiamo – anche per volontà dell’uomo. Quasi i morti di Marcinelle siano «scomodi» e «politicamente non corretti».
Nei giorni scorsi (perché non nel giorno del 60°anniversario? altri impegni?) è pur vero che il presidente della Camera Laura Boldrini è andata a Passolanciano, in Abruzzo, regione da dove erano originari almeno la metà dei minatori morti. Ma è anche vero che ha colto l’occasione per ricordare i Partigiani della Brigata Majella durante la Resistenza, nonché il dramma dei migranti di oggi dal Mediterraneo verso l’Italia. Con tutto il rispetto per entrambi, «che c’azzecca» con Marcinelle, si potrebbe dire con le parole di un noto ex magistrato ed ex (per ora) politico molisano?
A Marcinelle – si legge nel sito belga Le Bois du Cazier, dal nome del bacino minerario della tragedia – è prevista una cerimonia l’8 agosto 2016, giornata del Ricordo, con messa e deposizione di fiori nel cimitero al monumento ai minatori. La massima autorità italiana annunciata è il Console Generale. Da Bruxelles sembra non arrivi nessuno. Tanto meno da Roma. I viaggi di Stato costano e poi – si sa – sono appena stati impegnati con le Olimpiadi di Rio de Janeiro.
Il fatto è uno solo e bisogna dargli il suo nome: dei 60 anni dalla tragedia di Marcinelle non gliene importa più nulla a nessuno. Se non naturalmente ai (pochi) familiari diretti delle vittime.
Erano le 8.10 dell’8 agosto 1956. Uno scontro tra due vagoncini all’ingresso della miniera provoca la rottura di due cavi elettrici e di una condotta d’olio. Ne scaturisce un incendio proprio nel pozzo di entrata dell’aria nella miniera, che viene così invasa da fumo e fiamme impedendo così ogni via di fuga ai 274 minatori presenti in quel momento nel sottosuolo. Solo 12 si salvarono. «Tutti cadaveri» fu la tragica risposta data il 23 agosto, dopo 15 giorni di ininterrotte ricerche.
Dei 262 minatori morti, 136 erano italiani, 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 3 ungheresi, 3 algerini, 2 francesi, 1 inglese, 1 olandese, 1 russo, 1 ucraino. I nostri connazionali erano arrivati in Belgio in base ad un accordo, firmato da De Gasperi nel 1946 con Bruxelles. Mano d’opera in cambio di carbone per l’Italia a basso costo. In migliaia (si calcola quasi 50.000) partirono dall’Italia stremata dalla guerra, attirati da annunci della Federazione Carbonifera Belga con allettanti incentivi economici e familiari, ma senza alcun cenno alle condizioni di lavoro. Una vera «deportazione» di fatto, a tutti gli effetti.
Nel 2001, l’8 agosto diviene la «Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo» proprio in ricordo di Marcinelle. La decisione è dell’allora Ministero per gli Italiani nel mondo, un dicastero oggi soppresso. Come quella stessa «Giornata nazionale», di cui – salvo errori – non si sente parlare proprio più.
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