Attacco alla Siria, calcolo e azzardo nella mossa di Trump

Un missile tomahawk lanciato da un cacciatorpediniere Usa nel Mediterraneo (Foto U.S. Navy)

Un missile tomahawk lanciato da un cacciatorpediniere Usa nel Mediterraneo (Foto U.S. Navy)

ROMA – È sembrata una mossa affrettata l’attacco alla Siria dei missili Usa, a distanza di meno di 72 ore dalla strage di Khan Cheikhoun del 4 aprile, dove sono ci sono state decine di vittime civili sotto le bombe chimiche apparentemente targate Assad. Personalmente, però, non credo che ci sia niente di affrettato nelle politiche militari statunitensi. Sono invece convinto che il presidente Donald Trump sia stato convinto ad un passo così (che sembra contraddire alcune sue promesse elettorali) mediante un lungo lavoro di convincimento a Washington da parte del «partito anti Assad» che prima aveva in Obama e nella moglie di Clinton i propri campioni.

Non si può negare comunque che sia stata, almeno per noi europei, una mossa inaspettata, che rischia di cambiare in peggio la situazione in Medio Oriente. Senza dimenticare, in particolare, i Cristiani della Siria, che sono convinto avranno un motivo in più, dopo la notte dei bombardamenti, per essere preoccupati.

LA MOSSA

Trump aveva detto, in campagna elettorale, di non voler più che gli Usa fossero i «gendarmi» del mondo. Ma evidentemente devono averlo convinto del contrario, magari facendogli balenare il rischio di una Russia in grande spolvero da un paio d’anni, che si è proposta nell’area quale potenza in grado di modificare gli equilibri locali, attirando sempre più paesi nella sua orbita. È il caso dell’Egitto, nonché della Turchia stessa che aveva persino smesso di rivendicare come essenziale la «rimozione» di Assad dalla Presidenza del governo siriano.

CHI CI GUADAGNA

La domanda d’obbligo in questi casi è sempre la stessa. Questo attacco contro la Siria di chi fa il gioco? I latini direbbero «cui prodest»? Sicuramente i primi a «brindare» saranno i militanti di Isis e di Fatah Al Sham (ex Al Nusra) che erano ormai stati messi alle corde. Poi ci saranno pure i ribelli «moderati», qualsiasi cosa significhi questo aggettivo, che per un giorno ignoreranno il precetto anti-alcoolico del Corano e leveranno i calici.

Ma tra i protagonisti della politica mediorientale che temevano la vittoria di Assad ed il conseguente radicamento della Russia nel paese non vanno certo dimenticati i «confinanti» Israele e, come detto, la Turchia. Entrambi hanno tirato un sospiro di sollievo. Due Paesi che non hanno mai nascosto la propria ostilità nei confronti del Presidente siriano, anche quando le opinioni pubbliche occidentali si dimostravano maggiormente scandalizzate dalle bestialità dell’Isis. Ripetutamente hanno effettuato interventi aerei contro le truppe di Damasco, benché impegnate a terra contro i Jihadisti.

E poi c’è l’ombra dell’Arabia Saudita, in crisi nel conflitto nello Yemen e sempre più preoccupata che una vittoria dell’alleanza russo-siriana apra nuovi spazi all’Iran, suo nemico per antonomasia. Insomma, è un bel guazzabuglio come direbbe il Mago Merlino del famoso cartone animato della Disney.

IL RUOLO DI ASSAD

Una cosa sembra certa. Bashar al-Assad non aveva alcun interesse razionale a usare bombe chimiche contro il suo territorio. Stava vincendo sul campo e si era ormai affrancato dall’ unanime ‘damnatio’ che lo voleva morto a tutti i costi. Tra l’altro, aveva già sperimentato nel 2013 la paura di un intervento occidentale come conseguenza di un asserito uso di gas, mai provato, che aveva fatto scaldare i motori di alcuni apparati militari occidentali. Solo lo schieramento della flotta russa del Mar Nero al largo della costa siriana, accompagnata da una giornata di preghiera indetta da papa Francesco, aveva impedito la pericolosa escalation. Insomma, sapeva che era un rischio che non poteva correre. Ma è anche vero che in guerra non sempre la razionalità la vince. In ogni caso, ritengo improbabile che effettivamente abbia fatto consapevolmente una mossa tanto azzardata e controproducente.

TERRORISMO

Sono tutti preoccupati che colpire la Siria possa aumentare il rischio terrorismo nei paesi occidentali ma credo che almeno da questo punto di vista cambi poco. Non bisogna dimenticare che il terrorismo è – piaccia o no – una realtà alla quale ci dobbiamo abituare e che prescinde dagli andamenti delle crisi internazionali. Ci sarà sempre il pazzo di turno che si autoinnesca per vendicarsi delle sue frustrazioni con un atto facile ed imprevedibile. Piuttosto, dobbiamo evitare di farci strumentalizzare, non accettando chiamate alle armi che si scaricherebbero principalmente contro i soli che questo fenomeno stanno combattendo sul serio. Intendo i Siriani.

IL CALCOLO DI TRUMP

In ogni caso, la mossa di Trump contro Assad innesca un sorprendente paragone con Hillary Clinton, che fa storcere il naso a molti. Eppure, torna tutto. Trump aveva bisogno di ricompattare i repubblicani, che temevano la sua velleità elettorale di disimpegno internazionale. Al tempo stesso ha rilanciato le speranze dei democratici, da sempre sensibili alle ubbie anti-Assad di Obama e della moglie di Clinton. Non dimentichiamo quanto virulenta sia stata la loro reazione alle sue mosse in politica interna, l’unica nella quale si è dimostrato coerente, con forti prese di posizione contro l’immigrazione e contro i movimenti abortisti. Credo che da domani il neo presidente Usa avrà vita un po’ più facile al suo interno. Già i commenti di alcuni dei nostri stessi media lo lasciano presagire.

E a chi dice che i missili Usa sulla Siria sono un avvertimento per Russia, Cina e Corea del Nord, penso si possa rispondere che sono soprattutto la conferma che – nonostante il cambio del titolare nella stanza dei bottoni Usa – nulla è cambiato. Chi ha orecchie per intendere, intenda.

 

IL VIDEO PUBBLICATO DAL NEW YORK TIMES

 

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OsservatoreLibero.it ringrazia vivamente del suo intervento il Generale di Corpo d’Armata (r) Marco Bertolini, che – nella sua lunga carriera di ufficiale paracadutista della Folgore – ha avuto ruoli di comando in molti teatri operativi in tutto il mondo. Ha lasciato il servizio attivo nell’Esercito Italiano nel 2016 da Capo del Comando Operativo di Vertice Interforze, il massimo organismo operativo delle Forze armate

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