Sicurezza nelle città, chi comanda davvero tra security e safety

Piazza San Carlo a Torino dopo gli incidenti del 3 giugno 2017

Piazza San Carlo a Torino dopo gli incidenti del 3 giugno 2017

ROMA – Sempre più spesso, in occasione di campagne elettorali, constatiamo come i candidati sindaco siano costretti a spendersi in promesse ed assicurazioni relative alla sicurezza. Infatti, quello che era un compito primario dello Stato e dell’autorità statale di Pubblica Sicurezza, perfettamente ridelineato e ben sperimentato con l’entrata in vigore e l’applicazione della legge 121 del 1981 (nuovo ordinamento dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza), è divenuto oggi – per effetto di una modifica del titolo V della Costituzione, e precisamente del disposto del comma terzo dell’art. 118 – un compito condiviso tra le misure preventive e repressive di pertinenza dello Stato con quelle di comuni e regioni.

Un concetto che, pertanto, attribuisce inopinatamente un ruolo sempre maggiore e più attivo alla Polizia locale, per quanto attiene le sue funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza.

Ma se la legge 121/81 aveva raggiunto nel tempo, e col tempo, una eccellente funzionalità, con una chiara e irrinunciabile definizione di competenze e responsabilità, la nuova formulazione dell’art. 118 ha posto in essere un inedito modello di sicurezza pubblica che deve ancora trovare i giusti equilibri e una netta distinzione di competenze e responsabilità. Né sappiamo se tale equilibrio potrà essere raggiunto. Il tutto, c’è da temere, non senza gravi conseguenze!

I recenti fatti di Torino – che hanno trasformato una serata di festa in un’inaccettabile tragedia con un morto ed oltre 1.500 persone ferite – hanno messo a nudo un sistema di coordinamento, tra competenze statali e locali, risultato nei fatti molto lacunoso, incomprensibile ed indefinito. In quella notte del 3 giugno 2017, al termine della finale di Champions League 2016 tra Juventus e Real Madrid, trasmessa in Piazza San Carlo su un maxi schermo, un banale falso allarme ha scatenato il panico nella folla con un epilogo disastroso, cui hanno assistito di fatto impotenti le forze di polizia dello Stato e del Comune.

SAFETY E SECURITY

A distanza di venti giorni si alimenta tuttora, inutilmente, un’aspra la polemica e il rimpallo delle responsabilità. Il prefetto Franco Gabrielli – Capo della Polizia e Direttore del Dipartimento della Pubblica Sicurezza – è dovuto intervenire con una circolare cercando di chiarire – per ora – che ogni grande evento presenta due componenti. Una di «safety» ed una di «security», che dovranno essere sempre ben distinte per poter scongiurare così l’impasse del «tutti colpevoli, nessun colpevole».

Il concorso combinato delle autorità di polizia dello Stato e degli enti locali dovrebbe pertanto vedere la ‘security’ di competenza dell’Autorità statale e la ‘safety’ di quella locale. Nella circolare, il Capo della Polizia enuncia già per grandi linee il perimetro delle due componenti della sicurezza complessiva da assicurare per ogni evento/manifestazione. Così parlando di safety «il comune dovrà valutare la capienza delle aree delle manifestazioni, individuare gli spazi di soccorso, emettere i provvedimenti di divieto di vendita di alcolici e di bevande in vetro e lattine, che possano costituire un pericolo per la pubblica incolumità. Gli organizzatori dovranno regolare e monitorare gli accessi con sistemi di rilevazione numerica progressiva ai varchi di ingresso fino all’esaurimento della capacità ricettiva, prevedere percorsi separati di accesso e di deflusso del pubblico con indicazione dei varchi». Mentre, parlando di security si chiarisce che «le responsabilità della Questura  cominciano dallo sviluppo di una mirata attività informativa per valutare una eventuale minaccia. Quindi le forze dell’ordine dovranno mappare la videosorveglianza al fine di collegarla con la sala operativa, svolgere un’intensa attività di prevenzione sul territorio, svolgere controlli e bonifiche in quei posti dove possono essere celate insidie. Quindi dovranno individuare aree di rispetto nelle quali perquisire persone che possono portare all’interno della manifestazione armi o oggetti pericolosi. Infine, dopo l’attentato a Nizza, dovrà essere allestito un blocco del traffico per evitare l’ingresso di veicoli». Qualcuno a questo punto penserà che ogni volta che in Italia siamo costretti a definire qualcosa con espressioni inglesi non è e non sarà mai chiaro dove si voglia andare a parare.

POLIZIA LOCALE

Certo è che i comuni devono svolgere funzioni di Polizia locale, normalmente organizzate nei servizi di Polizia Municipale, disciplinati dalla Legge quadro sull’ordinamento della polizia municipale, la n. 65 del 1986. Tale legge conferisce ai corpi di polizia municipale ed ai loro componenti   funzioni di polizia amministrativa (edilizia, sanità, ambientale, commerciale, ecc.), di polizia giudiziaria, di polizia stradale e la funzione ausiliaria di pubblica sicurezza. Al riguardo, il Prefetto conferisce, a coloro che riuniscono i previsti requisiti, la qualifica di agenti di pubblica sicurezza, che consente agli interessati di portare senza licenza le armi eventualmente in dotazione al loro Corpo, anche fuori servizio, purché nell’ambito territoriale del loro ente.

La citata legge n. 65 del 1986 prevedeva che la polizia municipale collabori con le Forze di Polizia dello Stato su disposizione del Sindaco quando richiesto dall’Autorità statale di Pubblica Sicurezza. Ma ora, la nuova formulazione dell’art. 118 della Costituzione, soprattutto nelle più grandi città tra cui Roma, Milano, Napoli, Torino, può essere foriera di grandi inconvenienti, perché non sempre quei sindaci accettano il coordinamento ed i vincoli imposti  dalle autorità dello Stato. In primo luogo perché non sempre gli interessi da tutelare e perseguire coincidono. Ma anche perché il sindaco ha sempre chiaro l’obiettivo di dover mantenere il consenso del suo elettorato. Insomma, il nuovo contesto, introdotto dall’articolo 118/3, si correla si con l’accresciuta richiesta di sicurezza da parte dei cittadini e nella convinzione che deve esservi maggiore collaborazione tra organi dello Stato e dei comuni.

Al tempo stesso si estrinseca di fatto con un contesto generalizzato di aumento smisurato delle esigenze di sicurezza e pari scarsa disponibilità di risorse umane e finanziarie, in un momento storico di diffuse difficoltà a fronteggiare gli eventi più rilevanti. Come il contrasto alla micro e macro criminalità e terrorismo, problemi legati all’immigrazione, problemi occupazionali, legislazione eccessivamente garantista, che ogni giorno, sempre di più, evidenziano livelli limite.

Al momento, pertanto, non pare che la collaborazione della polizia municipale, nell’attuazione concreta dell’ordine pubblico, possa veramente rappresentare lo strumento basilare per il controllo del territorio, che fino a non molto tempo fa era precluso alla polizia locale, giustamente preposta per altre funzioni, pure molto importanti. Il legislatore ha ritenuto invece di dover intervenire, spingendo i sindaci ad un maggiore attivismo e maggiore attenzione per i fenomeni di ordine e di sicurezza pubblica che interessano i territori di appartenenza. Fino al punto che, sempre più spesso, di fronte ad efferati delitti, l’opinione pubblica tende ad addebitare ai sindaci, anziché alle autorità statali di polizia e all’autorità giudiziaria, le condizioni di crescente insicurezza vissute o percepite.

E fa specie constatare che quando i sindaci sono presi di mira – e quasi sempre per motivi di ordine politico – l’autorità nazionale e provinciale di Pubblica Sicurezza e l’autorità giudiziaria restano spesso silenti e non rivendicano le loro prioritarie competenze e soprattutto le loro . . . responsabilità.

A CIASCUNO IL SUO MESTIERE

Una cosa è certa. Il crescente decentramento amministrativo dello Stato non solo ha portato ad un aumento esponenziale del debito pubblico ed al proliferare di scandali di ogni genere. Ma ha generato progressivamente ed inevitabilmente crescenti difficoltà di coordinamento nelle funzioni condivise, che l’esperienza di ogni giorno dovrebbe far rivedere, mantenendo invece nette le separazioni di compiti e competenze e lasciando fare a ciascuno il proprio mestiere. Conseguenze che si sono acuite nel tempo con la soppressioni dei Commissari del Governo presso le Regioni e con il declassamento dei Segretari Comunali, da funzionari dello Stato a semplici consulenti dei sindaci. Tutto in nome di un’asserita semplificazione della pubblica amministrazione.

 

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Alessandro Gentili

Generale di Brigata dei Carabinieri (ris.), già Comandante Generale della Gendarmeria della Repubblica di San Marino

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