Osservatore Libero

Lutto nel giornalismo, addio alla penna di Enzo Bettiza

Enzo Bettiza (1927-2017)

Enzo Bettiza (1927-2017)

MILANO – Giornalismo in lutto per la morte di Enzo Bettiza. Si è spento oggi 28 luglio all’età di 90 anni appena compiuti il 7 giugno. Nel 1974 fu tra i fondatori de «Il Giornale» a fianco di Indro Montanelli.

Bettiza, voce liberale e «fuori dal coro» come si definivano i giornalisti del Giornale, era nato a Spalato nel 1927. Negli anni venti, come consentito dal trattato di Rapallo, la famiglia aveva optato per la cittadinanza italiana, pur risiedendo in territorio iugoslavo. Dopo la seconda guerra mondiale, la famiglia riuscì a trasferirsi in Italia.

Dal 1957 al 1964 fu corrispondente per il quotidiano La Stampa, prima da Vienna e poi da Mosca. Poi passò al Corriere della Sera per il quale lavorò dove restò dieci anni, sempre come corrispondente dall’estero. Ma Bettiza è stato anche direttore del Resto del Carlino e della Nazione e autore di numerosi libri. La sua attività s’è incentrata soprattutto sullo studio dei paesi mitteleuropei e del blocco orientale, con particolare riferimento alla caduta del comunismo agli inizi degli anni Novanta.

Nel 1973, in polemica con la direzione di Piero Ottone, Bettiza lasciò con Montanelli il Corriere della Sera. L’anno successivo fu tra i fondatori de «Il Giornale Nuovo» insieme allo stesso Montanelli, che ne assunse la direzione (con Bettiza condirettore vicario), Guido Piovene, Gianni Granzotto, Cesare Zappulli, Gian Galeazzo Biazzi Vergani e Renzo Trionfera. Secondo Bettiza, «Giulia Maria Crespi e Piero Ottone volevano fare del Corriere un quotidiano d’assalto tipo il manifesto o Lotta Continua». Il comitato di redazione, «giacobinizzandosi, tendeva sempre più a diventare un comitato di salute pubblica».

Enzo Bettiza è stato senatore della Repubblica dal 1976 al 1979 per il Partito Liberale Italiano. Dal 1979 al 1989 ha rappresentato il partito al Parlamento europeo, per poi passare al Partito Socialista Italiano. Fino all’ultimo non ha mai abbandonato la sua professione restando editorialista de «La Stampa».

 

 

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