Io, superstite della nave Conte Rosso, pensavo di morire a 20 anni (Video)

Corrado Codignoni, 96 anni, superstite della tragedia del Conte Rosso

Corrado Codignoni, 96 anni, superstite della tragedia del Conte Rosso

GUBBIO (Pg) – «Mi lanciai nel buio dal Conte Rosso che stava affondando. Non sapevo nuotare. Credevo ormai di morire a 20 anni. Oggi ne ho 96 e vi racconto la mia storia». È un fiume in piena Corrado Codignoni di Gubbio, classe 1921, militare dell’Esercito durante la seconda guerra mondiale. Alla sua età guida ancora oggi la macchina e spesso fa lunghe passeggiate in cerca di tartufi. La voglia di vivere gli si legge nel suo sorriso e nel mai perso carattere di combattente. Anche contro le avversità della vita che gli non sono mancate.

MARCONISTA DEL GENIO

Corrado Codignoni con la cuffia da marconista (Foto concessa dalla famiglia)

Corrado Codignoni con la cuffia da marconista (Foto concessa dalla famiglia)

Soldato del Genio Trasmissioni – «marconista» tiene a precisare – Codignoni viene inserito tra gli specialisti destinati ad operare in Libia nella Campagna del Nordafrica, a pochi mesi dall’inizio della seconda guerra mondiale. Un convoglio di ben quattro navi passeggeri, scortato da incrociatori e cacciatorpediniere, è pronto a salpare da Napoli per Tripoli con a bordo oltre 5000 soldati, italiani e tedeschi.

A Codignoni tocca di essere imbarcato sulla più prestigiosa di quelle navi, il transatlantico «Conte Rosso» della Marina mercantile, utilizzato in più occasioni anche per trasporto truppa. Per Codignoni è il battesimo del mare, lui che non ha mai avuto in simpatia l’acqua tanto da non saper nuotare. Ma la voglia di partire è tanta, che tutto passa in secondo piano.

PARTENZA DEL CONTE ROSSO

«Partimmo da Napoli nella mattina del 24 maggio 1941» ricorda lucidissimamente Codignoni nel salotto della sua bella casa di Branca, una frazione di Gubbio. «Alla prima adunata sul ponte, ci dettero precise istruzioni su come comportarsi a bordo, specie nel caso avessimo dovuto abbandonare la nave per qualsiasi motivo. Tra questi l’obbligo di indossare sempre il salvagente anche mentre dormivamo e di non fumare per evitare che da lontano si potessero intravedere sigarette accese. Ci dissero che avremmo navigato in zone a rischio di attacchi nemici. Vidi che il volto del comandante era preoccupato, ma sul momento non ci feci tanto caso».

Il transatlantico Conte Rosso

Il transatlantico Conte Rosso

«Poco dopo le 20 eravamo già al largo di Siracusa. Andai nella mia cuccetta, perché il mare non era calmo e sdraiato sarei stato meglio. Provavo a dormire, ma inutilmente. Il salvagente a quel tempo era formato da quattro assi di sughero legati da una stretta e ruvida corda. Era la prima volta in vita mia che lo indossavo e mi stringeva troppo, fino alla gola. Pensai di togliermelo e appoggiarlo su un ripiano sotto l’oblò dove era la mia cuccetta. Dissi tra me: ‘figuriamoci se con tutte queste navi di scorta, gli inglesi vanno a colpire proprio il Conte Rosso’ e provai ancora a dormire».

SILURI NEL MEDITERRANEO

Il destino però bussa proprio alla porta del Conte Rosso e ai quasi tremila uomini a bordo. In quelle acque, a circa 10 miglia da Capo Murro di Porco incrocia il sottomarino inglese HMS Upholder. «Fu questione di attimi – ricorda Codignoni ancora emozionato – due siluri a poca distanza l’uno dall’altro colpirono proprio il Conte Rosso. Cercai affannosamente il mio salvagente ma non riuscivo a più a trovarlo. A bordo era comprensibilmente il caos, tra gente che urlava per cercare una via di scampo».

«Sapevo che non sarei riuscito a nuotare. Avevo solo il mio fucile accanto a me. Fui tentato di usarlo contro me stesso per farla finita. In quel momento però mi vide un mio corregionale, Peppino Procacci, che mi urlò di buttarmi in mare. Seguii il mio istinto e il suo ordine e mi lanciai in acqua nel buio. Senza salvagente. Fu la mia fortuna perché tanti soldati che fecero altrettanto morirono perché l’urto del loro salvagente con l’acqua staccò loro l’osso del collo.

UNA NOTTE IN ACQUA

Qui l’emozione ha ancora oggi il sopravvento, a 76 anni di distanza da quella interminabile notte. «Non so ancora come spiegarmelo – dice Codignoni – so solo che mi ricordo di essermi ritrovato in acqua aggrappato a un salvagente. Non posso che chiamarlo un miracolo. Intorno a me urla di gente che invocava la mamma e la Madonna. Restai tutta la notte in acqua, aggrappandomi per quanto potevo ad una zattera». È la notte più lunga della sua vita. In certi momenti la voglia di lasciarsi annegare è tanta, ma subito – ricorda – torna alla mente quello che dicevano gli anziani: «Se uno muore annegato, l’anima non esce». La paura che anche l’anima di Corrado finisca in fondo al mare gli dà ogni volta la forza di resistere.

È ormai l’alba quando Codignoni, ormai allo stremo, viene raccolto da un incrociatore tramite una gomma calata in acqua. «Mi portarono in una zona più vicino possibile alle caldaie perché ero congelato dal freddo. Vicino a me altri superstiti, ma anche tanti commilitoni ormai morti». Qui la memoria si ferma, come un black out. «Ricordo solo di essermi ritrovato o risvegliato in un ospedale della Marina ad Augusta. Quando cominciai a rendermi conto di quello che era successo, mi prese un lungo e ininterrotto pianto, tanto da togliermi il fiato».

ANCORA AL FRONTE

Da lì comincia un lungo e silenzioso calvario tra ospedali. Da Augusta a Napoli in un nosocomio che ospita malati di tubercolosi. Quindi all’ospedale militare del Celio a Roma, addirittura nel reparto psichiatrico tra i malati di mente. Dopo poco Codignoni riesce a dimostrare che è «sano» e chiede di poter tornare al fronte. Viene presto accontentato. Prima l’Albania e dopo poco la partenza per il fronte russo. Lì non c’è il vortice delle acque del mare Mediterraneo che in otto minuti avevano accolto la nave Conte Rosso colata a picco con il suo carico umano. Ma le insidie del gelo e della prigionia in Russia durata fino alla fine della guerra lasciano comunque un segno profondo nello spirito di questo tenace soldato umbro, che più di una volta ha visto la morte in faccia. Di lui oggi lo Stato italiano si ricorda con una pensione di guerra di 264 euro al mese. Una mancia.

CONTE ROSSO DIMENTICATO

Della pensione però Codignoni non vuole parlare. Il suo rammarico più grande? «Del Conte Rosso e della tragedia dei suoi morti non si parla. E quella nave è ancora lì, da 76 anni in fondo al mare, dimenticata da tutti» dice il caporale Codignoni, mentre con gli occhi lucidi ma severi guarda la foto della «sua» nave sulla parete della stanza da pranzo di casa sua. Per non perderla di vista neanche un momento durante la giornata.

 

Qui la scheda della nave Conte Rosso

IL RACCONTO DALLA VOCE DI CORRADO CODIGNONI (VIDEO)

 

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Sandro Addario

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