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Nave Vespucci 2018: vita di bordo e le nostalgie del Nostromo (VIDEO-FOTO)

Giulio D'Elia, nostromo di Nave Vespucci

Giulio D’Elia, nostromo di Nave Vespucci

LA ROCHELLE (Francia) – Nome: Giulio. Cognome D’Elia. Grado: Luogotenente Nocchiero della Marina Militare. Incarico attuale: Nostromo della Nave Scuola Amerigo Vespucci. Ha passato 23 anni tra le sue vele, dei quali oltre sei da Nostromo. Un ruolo cardine in ogni nave militare, ma che sul Vespucci assume un significato ancora più particolare.

«Ho fatto più di venti campagne d’istruzione per gli Allievi dell’Accademia Navale, ma questa sarà l’ultima» dice il Nostromo sul cassero (il ponte di poppa) del Vespucci, durante la navigazione dalla Gran Bretagna alla Francia. E mentre parla non riesce a staccare gli occhi dal lavoro dei suoi nocchieri. Una squadra di un centinaio di uomini e donne, pronti giorno e notte a salire come scoiattoli sugli alberi della nave e gestire le 24 vele del leggendario vascello italiano. Impegnati, come i colleghi di ogni nave militare, anche nelle manovre di ormeggio e disormeggio da un porto. Come nel caso – capitato proprio all’arrivo a La Rochelle in Francia – dell’attraversamento di uno strettissimo canale, dove a ciascun bordo del Vespucci (lungo 101 metri e con 4000 tonnellate di stazza) non c’erano più di tre metri a disposizione per sfilare indenne senza fare e subire danni. Una manovra chirurgica.

«Entro fine anno sbarcherò – dice ancora D’Elia, napoletano doc, dopo un grosso respiro – perché chiamato a svolgere un nuovo incarico a terra. Dopo 23 anni a bordo del Vespucci è anche naturale che questo avvenga. Una cosa è certa: su questa nave ci lascerò il cuore e tutta l’anima». I ricordi si accavallano. Difficile, in un momento di emozione come questo, fare una classifica di quelli più belli. Tra i primi resta comunque lo storico giro del mondo fatto dal Vespucci negli anni 2002-2003. «Diciotto mesi di navigazione, che non si possono dimenticare» commenta il Nostromo abbassando per un momento gli occhi a terra.

Si riprende subito quando gli chiediamo dei suoi nocchieri. «Non solo una grande famiglia, ma una grande squadra, dove ognuno è indispensabile per la nave e per i colleghi stessi». Più che il capo D’Elia è anche il «fratello maggiore» di ciascuno. Un parere, un consiglio, un intervento prima che qualcuno sbagli. Ce n’è per tutti.

Durante la chiaccherata, passa sul ponte il comandante del Vespucci, capitano di vascello Roberto Recchia. «Il nostromo? È un riferimento, una spalla, un supporto, la storia. La persona che a un comandante non deve mai mancare, specie in riferimento ad un Nostromo come lui». Recchia e D’Elia si conoscono da circa 30 anni. Sono parole sentite e convinte, anche perché nel vocabolario di nessuno dei due esiste la parola piaggeria.

 

Vele di Nave Vespucci

 

LE PROSSIME TAPPE DEL VESPUCCI

La giornata a bordo del Vespucci non si ferma mai. Quattro i turni di guardia giorno e notte dei circa 250 marinai di equipaggio, a cui si aggiungono oltre 120 allievi dell’Accademia Navale con il comandante alla 1ª classe e gli ufficiali inquadratori. Circa 450 a bordo del vascello che sta ultimando la sua campagna d’istruzione 2018 dopo un viaggio in nord Europa. Dopo la Rochelle, tappa a Ibiza in Spagna e poi rientro sabato 22 settembre a Livorno, da dove il Vesoucci era partito il 1° luglio. Appena il tempo di fare rifornimenti e inizierà la «post-campagna» che vedrà ancora il Vespucci nei porti italiani, tra cui Napoli, Brindisi, Trieste. Poi in ottobre il rientro a La Spezia per la sosta e la manutenzione invernale. Che non vuol dire Vespucci «chiuso per ferie», ma un’unità sempre attiva con equipaggio a bordo, pur con i necessari (e molto attesi) turni di ferie per il personale che è rimasto fuori casa per diversi mesi.

Alle 8,15 il comandante Roberto Recchia (che lascerà il comando il 4 ottobre a Brindisi al suo pari grado, capitano di vascello Stefano Costantino) riunisce i suoi ufficiali in plancia per la prima riunione della giornata. Ciascuno riferisce la situazione del proprio reparto (rotta, meteo, reparto marinaresco, commissario di bordo, direttore di macchina, medico di bordo) e vengono prese le decisioni del caso. Poi ognuno alla propria «batteria».

Quando il vento comincia ad essere favorevole viene pianificata l’apertura delle vele. Ed ecco che (tutti o in parte) i 2650 metri quadri delle vele vengono giù, dopo che la squadra di turno dei nocchieri è salita a riva per scioglierle dai pennoni. Sui ponti della nave un’altra squadra, tra cui allievi di Accademia che così fanno davvero pratica marinaresca, è pronta a tirare e bloccare le cime delle vele (in tutto ce ne sono ben 36 chilometri) ai rispettivi bozzelli di legno. Tutto a mano, in una nave dove non c’è una macchina meccanica per le manovre tranne che per le ancore. Tradizione e attività marinaresca vuol dire anche questo.

 

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3 – FINE

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