Arezzo, l’odissea di Chiara con l’app Immuni
AREZZO – Immuni la informa di aver avuto un contatto con una persona positiva al Covid-19, ma né Asl né Inps le danno certezze su come comportarsi. È costretta a mettersi, cautelativamente, in ferie dal lavoro per restare in casa e cercare di fare un tampone. Risultato poi fortunatamente negativo. Questa l’odissea raccontata su Facebook dal giornalista Michele Morandi di Arezzo che ha potuto verificare di persona il fatto, non solo per attitudine professionale, ma soprattutto perché la persona ‘informata’ da Immuni è sua moglie Chiara.
«Ho scaricato l’app Immuni fin dal primo giorno – racconta Michele – e l’ho fatta scaricare anche a mia moglie, familiari, amici, conoscenti. È un’applicazione che sarebbe molto valida, ma che ancora presenta molti limiti». Sa bene inoltre, come scritto nell’app, che «Immuni non fa e non può fare diagnosi» e che «l’app non è un dispositivo medico e non può in alcun caso sostituire un medico». Ma mai avrebbe immaginato cosa sarebbe avvenuto nel caso di sua moglie.
La notifica di Immuni in ritardo di 4 giorni
La sera di mercoledì 28 ottobre 2020 alle 21 sul telefono di Chiara arriva la notifica di Immuni: ha avuto un contatto con un positivo risalente a sabato 24 ottobre. Quattro giorni prima. Chiara lavora in un ufficio a contatto con il pubblico, con tutte le precauzioni di legge: mascherine, distanziamento, divisori in plexigas. Tranquillità quasi assoluta, ma non si sa mai. Immuni non rivela l’identità del ‘positivo’ e non fornisce neppure luogo e orario del ‘contatto’. Si limita a informare che nell’arco di una giornata un soggetto positivo ti è stato a distanza ravvicinata per oltre 15 minuti. Non è il massimo per le persone ansiose (in aumento esponenziale) ma Immuni, piaccia o no, funziona così.
«Immuni non ha valore legale»
Chiara e Michele non sono ansiosi, ma giustamente non prendono la notifica sottogamba. Tanto più con due bambini in casa. «La mattina successiva 29 ottobre – dice ancora il marito – come la App stessa suggerisce contattiamo il medico di famiglia che testualmente risponde di non poter fare niente, perché le notifiche di Immuni non hanno alcun valore legale». La prima conseguenza è che Chiara non può avere nessun certificato per assentarsi dal lavoro, che, secondo il medico, si può fare solo in caso di positività accertata.
In ferie a caccia del tampone
E allora? I casi sono due. O Chiara – perfettamente asintomatica – torna al lavoro («in teoria lo potrebbe fare – le dice il medico – perché la notifica di Immuni non ha valore legale») oppure prudenzialmente sceglie di restare a casa in autoisolamento e di mettersi alla ricerca della possibilità di fare un tampone che accerti la sua positività o meno. Naturalmente prendendo ferie ordinarie dal lavoro.
Telefonate a vuoto
Per senso di responsabilità verso sé stessa e verso gli altri, Chiara sceglie la seconda soluzione, ma l’odissea è solo all’inizio. Tante le telefonate. «Chiamiamo l’Inps al numero verde. Risposta: ‘cancelli Immuni, signora, fa solo confusione’. Chiamiamo l’Asl Toscana Sud-est che ci rimbalza a un numero verde della Regione Toscana. Risposta: ‘Su Immuni, signora, non siamo tenuti a dare nessuna informazione perché nemmeno noi ne abbiamo’».
La ricerca di poter fare un tampone non si ferma. All’ospedale San Donato di Arezzo non si riesce più a prenotare in tempi brevi. Per fortuna Chiara trova una possibilità presso l’ospedale di Bibbiena (a 30 km di distanza), dove venerdì 30 ottobre riesce nel suo scopo. Torna a casa e, anche se non è ansiosa, si mette ad aspettare la risposta con comprensibile preoccupazione. Domenica 1 novembre arriva l’esito auspicato: negativo. Sono passati 13 giorni dal possibile contatto con la persona positiva, 9 giorni dalla notifica di Immuni, 3 giorni di ferie dal lavoro. È finita bene ma poteva andare anche peggio, in quanto a tempi di attesa.
Epilogo: app disattivata
Michele Morandi, non da giornalista ma da semplice cittadino, commenta così quanto è avvenuto. «Come è possibile che a distanza di quasi cinque mesi dall’entrata in funzione di Immuni (una app dello Stato, è bene ricordarlo e sottolinearlo) si crei questo ridicolo caos? Perché alla fine è bene ricapitolare: mia moglie ha dovuto prendere ferie per stare in isolamento domiciliare in attesa del tampone per aver avuto un contatto con un positivo segnalato da una app voluta e realizzata dallo Stato. App che nessuno – dalla Asl, ai medici di base, all’Inps (quindi pezzi dello Stato) – sa come far funzionare».
La serenità è tornata a casa Morandi, ma – a quanto sembra – Chiara ha disattivato l’app Immuni. Almeno per un po’.
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