Osservatore Libero

India, un monumento a Yol ricorda i prigionieri di guerra italiani

Il monumento a Yol in India dedicato ai militari italiani prigionieri di guerra fino al 1946
Il monumento a Yol in India dedicato ai militari italiani prigionieri di guerra fino al 1946 (@osservatorelibero.it)

da YOL (India) – C’è ancora un pezzo d’Italia a Yol, una località dell’India ai piedi dell’Himalaya. È lì che trascorsero anni di prigionia (molti anche fino al 1946) migliaia di militari italiani catturati degli Inglesi durante la seconda guerra mondiale. È un suggestivo monumento di pietra che si trova all’interno di un’area dell’Esercito indiano, che vi ha installato tra l’altro la base del IX Corps

UN MONUMENTO CHE PARLA

A quanto si apprende, il monumento – realizzato dai militari italiani nei campi di prigionia – è stato restaurato nel 2019 a cura dell’Esercito indiano e conservato con particolare cura e rispetto all’interno della stessa base militare. È formata da un insieme di pietre che simboleggiano in alto un anelito di libertà è più in basso la situazione di prigionia in cui si trovavano i militari italiani, catturati nei vari fronti di guerra soprattutto in Africa settentrionale. 

Molto significativa la dedica ai piedi del monumento, a firma del Tenente Generale Jai Singh Nain, Comandante del IX Corps dal gennaio 2019 al febbraio 2020. Ecco il testo tradotto: 

NATI PER ESSERE LIBERI

«La reliquia di pietra piuttosto rara fu realizzata dai prigionieri italiani ospitati nel campo dei prigionieri di guerra dal 1941 al 1945. La coppia di pietre più in alto simboleggia l’insaziata sete di libertà dell’uomo, qui raffigurata come un paio di ali di un uccello, che lotta per liberarsi dalla prigionia. Il resto della struttura rappresenta le mura della prigione. 

Questa bella idea custodisce il tributo che questo gruppo di italiani, sebbene prigionieri, ha lasciato dietro di sé come emblema dello spirito umano per i posteri. Da sostenere ed emulare. Ancora oggi è custodito dai commilitoni (indiani n.d.r.), risparmiato dalla furia spietata della natura e del tempo»

Ideato e dedicato da 

Lt Gen JS Nain, Avsm, Sm

Goc 9 Corps

07-12-2019

La targa dedicata dall’Esercito indiano ai prigionieri di guerra italiani a Yol

LA TESTIMONIANZA DI UN INTERNATO A YOL

Yol è un nome che può dire poco alle giovani generazioni ma che per migliaia di famiglie italiane ha significato una storia, una sofferenza di anni in cattività, a 6000 chilometri dall’Italia. Un luogo alle pendici di montagne dell’Himalaya, pur suggestive, che vanno dai 3000 ai 5000 metri. Una barriera naturale, in aggiunta ai guardiani inglesi. Da lì era quasi impossibile fuggire. 

Tra i prigionieri di guerra c’era anche il giovane sottotenente di artiglieria contraerea Nicolò Addario, padre di chi scrive, catturato insieme ai suoi commilitoni in Africa settentrionale nel 1940.  In una nota di un suo breve ma sentito diario, descrive in particolare il trasferimento dall’Africa settentrionale verso ignota destinazione. A piedi, su carri ferroviari bestiame. Normale prassi purtroppo. Dal passaggio ad Alessandria d’Egitto, quindi a Suez dove i militari italiani vengono imbarcati sulla «President Doumer», una nave inglese adibita al trasporto truppe. 

Circa 15 giorni di navigazione («tra strozzinaggio, furti di orologi, fame, aria misurata») fino all’arrivo, naturalmente inatteso, nel porto di Bombay. Da qui a piedi alla stazione ferroviaria «tra la folla indiana che ci guarda muta: nessuna manifestazione né di odio né di simpatia». Un viaggio in treno in più tappe che porta gli italiani nel sud est, fino a Bangalore. Un mese dopo (febbraio 1941) il trasferimento definitivo a nord, nei campi di Yol, capolinea della prigionia in India che terminerà solo nel 1946 con il rientro quasi non più sperato in Italia. 

Ma se il ritorno in Patria disse la parola fine alla prigionia per i nostri militari, la vita dei superstiti è rimasta segnata a lungo da questa sofferta vicenda. Mio padre, e sicuramente non sarà stato il solo, per tutta la sua vita spessissimo ricordava la sua esperienza in India. Ogni occasione era buona per parlare dei giorni, mesi, anni passati in quei campi di concentramento. Tra sofferenza e umanità.  Nel 2002, poco prima di lasciarci a seguito di una brutta caduta con conseguenze anche cerebrali, un medico in ospedale gli chiese dove si trovava. Per testare la sua lucidità. Pronta e spontanea la risposta di mio padre: «In India». 

YOL OGGI

Dopo 20 anni dalla sua morte, sono voluto tornare nei luoghi che hanno segnato così a lungo la sua vita. Un tributo alla memoria di mio padre che gli dovevo da tempo. Yol, nello stato indiano Himachal Pradesh, si trova a poca distanza dalla città di Dharamshala dove vive il Dalai Lama. La cittadina a 1000 metri di altitudine, configurata come «cantonment board» con oltre 12mila abitanti (stima per difetto), è attraversata da una strada principale ai cui bordi ci sono almeno due chilometri di mura di recinzione della grande base militare indiana. 

Dalla mia guida e dal bravo autista mi sono voluto far portare in una zona dove presumibilmente sorgevano i campi di prigionia italiani. La prospettiva, rispetto ad una foto dell’epoca rimasta tra le cose di mio padre, è quasi la stessa. Ho chiesto di restare da solo in silenzio. In quei minuti ho come «sentito» tante voci italiane, alle prese con l’interminabile quotidianità alternata tra sconforto, fede, dignità e speranza di libertà. Proprio come il monumento custodito dall’Esercito indiano a Yol vuole evidenziare. 

Una foto d’epoca dei campi di prigionia italiani a Yol
L’area di Yol oggi
Una cartolina alla famiglia all’inizio della prigionia (1940)
Un biglietto inviato alla famiglia in Italia dalla prigionia a Yol
Sandro Addario a Yol (Giugno 2023)
Una delle strade principali a Yol oggi
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